C’è una possibilità per tutti e non è necessario possedere un alto quoziente intellettivo. Contano molto l’ambiente, la forza di volontà e lo studio.
“Il genio senza formazione è come argento in miniera”: come dire che senza studiare il successo è irraggiungibile. Parola di Benjamin Franklin, che forse aveva ragione, visto che – secondo una nuova disciplina che unisce la psicologia alle scienze cognitive e trova il suo manifesto nel manuale “Cambridge Handbool of Expertise and Expert Performance” – c’è una possibilità per tutti di diventare geni. Ma bisogna rimboccarsi le maniche. La ricetta da applicare costa fatica.
Il genio e il talento, intesi come dono dalla nascita, sono sogni da dimenticare, sostengono gli autori del manuale edito dalla Cambridge University Press. Per diventare “geni” basta una discreta dose di abilità naturali, un’istruzione di alta qualità e una montagna di lavoro.
E’ complicato spiegare come genialità e abilità sopraffine si sviluppino e perché siano eventi così rari, dichiara lo psicologo della Florida State University Anders Ericsson, tra i curatori del testo, che raccoglie i più autorevoli studi sull’argomento. Non c’è nulla di magico e innato, spiega: i geni non hanno necessariamente un alto QI, il Quoziente Intellettivo, ma quasi sempre hanno alle spalle un ambiente che li ha supportati nell’età della formazione, adulti che hanno saputo guidarli nella crescita intellettuale e – sempre – la volontà di investire energie e tempo nel loro scopo.
Dello stesso parere è un altro testo, Brian Butterworth, dell’Istituto di Neuroscienze Cognitive e Psicologia alla University College di Lindra: per distinguerti in qualcosa “devi spendere 10 mila ore ad esercitarti, ma devi volerlo e avere la capacità di lavorare sodo”.
Pur diradando un po’ il mistero che aleggia dietro il mito del genio e smorzando l’esagerato entusiasmo di mamme che vedono nei normali progressi dei propri piccoli il segno del “genio”, queste considerazioni incoraggiano chiunque voglia riuscire in qualche cosa, ma sente di non essere dotato. E a dargli la forza ci sono le prove custodite nel manuale: studi compiuti su “super-dotati” di ogni campo, sottoposti a migliaia di test cognitivi e di memoria, misure e confronti di QI, scansioni cerebrali, studi retrospettivi per trovare nella giovinezza la chiave che ha permesso al loro genio di esplodere; i, viceversa, studi prospettici per vedere il futuro di giovani dalle promettenti capacità. Ebbene, nessuno di questi lavori ha dato risultati che avvaloravano il mito del genio.
Confrontando persone geniali e individui comuni – racconta Ericson – non è emersa nessuna correlazione tra i QI e grado di successo: essere “geni” non significa necessariamente avere QI elevato e, viceversa, un QI medio-basso non è una preclusione. In particolare il QI di personaggi eccellenti rientra di solito in un intervallo significativo, tra i 115 e 130: sebbene i geni siano una rarità, in quel range di QI si trova addirittura il 14% della popolazione generale. Quindi il QI non fa il genio, ma prova ne sia che quegli atenei americani, dove l’alto QI è uno dei parametri di ammissione per le matricole, non sfornano eserciti di scienziati o scrittori di successo.
Uno studio retrospettivo di Benjamin Bloom dell’Università di Chicago su grandi personaggi in diversi campi del sapere e dello sport dimostra che per tutti quelli che hanno primeggiato vale la “regola dei 10 anni”: sono necessari almeno 10 anni di pratica assidua prima di sfondare. Inoltre Bloom ha ripercorso le vite di questi individui, trovando che sul loro successo hanno avuto un peso dominante l’ambiente e le persone tra cui sono cresciuti: nel loro passato” cercavamo bambini eccezionali e invece ciò che abbiamo trovato di eccezionale erano le condizioni”, quelle in cui vivevano.
Bloom ha poi evidenziato che soltanto pochi tra i personaggi d’eccellenza da lui studiati avevano mostrato da piccoli quelle eccezionali qualità che li hanno contraddistinti da adulti, mentre quasi tutti erano stati incoraggiati al sapere sin da bambini. E infatti hanno goduto da giovani di una figura di riferimento che li ha guidati verso il successo, disponendoli allo studio e alla fatica. Fidiamoci, quindi, di Franklin, che un genio era di certo:” Chi ha pazienza può ottenere ciò che vuole”.
Le sorprese del cervello dei superdotati
Lo psicologo Alberto Oliveiro: nei test cognitivi si riduce l’attività della corteccia frontale tende a prevalere invece l’emisfero destro, quello che funziona per analogie e per associazioni
Un mix di istruzione e applicazione, da unire ad esperienze di vita come viaggi e contaminazioni da tutti gli ambienti del sapere e poi, soprattutto in campo artistico, doti naturali da coltivare da piccoli: è la ricetta per eccellere e a proporla è un esperto, Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia presso l’Università La Sapienza di Roma, che ha appena pubblicato un saggio sull’argomento, “Come nasce un’idea. Intelligenza, creatività, genio nell’era della distruzione”
Professore, perché genio si diventa?
“L’applicazione, lo sforzo e la pratica sono aspetti fondamentali da cui non si può prescindere. LA regola dei 10 anni ha un che di fondato e molti sono i casi che la confermano. Si pensi per esempio ai Beatles: prima di arrivare al successo il gruppo ha speso almeno sette anni in prove su prove. Bisogna studiare, come diceva Howard Gardner docente di psicologia e di neurologia all’Univer4sità di Harvard: una volta avuta l’idea, ci si deve lavorare sopra e svilupparla, ma …”.
Ma? Qual è il punto?
“Non dobbiamo minimizzare il fatto che molte persone, soprattutto in campo artistico, hanno doti innate che poi, adeguatamente coltivate, sfociano in un talento eccezionale”.
Queste doti corrispondono a quella differenza a livello neurale tra individui dotati e persone comuni?
“Sono numerosi gli studi in cui si è dimostrato che persone più creative, e giudicate di alta intelligenza, abbiano un’attività cerebrale differente, quando le loro capacità sono messe ala prova. Per esempio è emerso che i super-dotati durante prove cognitive di vario tipo hanno una ridotta attività a livello della corteccia frontale, che è un po’ il centro esecutivo del nostro cervello. L’ipotesi più accreditata è che, essendo meno attivo il centro esecutivo, nel cervello dei “geni” prevalgono invece le associazioni libere, come avviene normalmente in ciascuno di noi nello stato di dormiveglia, quando i pensieri fluiscono e c’è più spazio per le idee creative. Un’altra differenza tra “talenti” e “normali” è che nei primi sembra esservi una prevalenza dell’emisfero destro, quello che funziona per analogie, su quello sinistro, che invece è la base della logica”.
Si può individuare un’età critica entro la quale è più facile sviluppare un talento innato?
“Difficile parlare di un periodo finestra: certo è che in molti campi del sapere, ed anche in molti sport, tanti personaggi famosi hanno iniziato, spesso per seguire le orme dei genitori, già da piccolissimi e cimentandosi in ciò che li avrebbe resi famosi. E’ indubbio che una delle chiavi per riuscire in certe discipline, come la musica, è iniziare da piccoli”.
Quindi, professore, secondo lei qual è la ricetta per coltivare un genio?
“E’ importante che il bambino sin da piccolo faccia svariate esperienze in modo che possano emergere sue eventuali predisposizioni in qualche settore. Bisogna evitare quindi di forzare il piccolo in un’unica direzione, anche perché eccessive forzature da parte degli adulti, verso la musica piuttosto che verso lo sport, possono indurre nel bambino avversione verso quelle stesse discipline”.
Come si può sintetizzare la formula per la genialità?
“Pesano per almeno il 60% istruzione e applicazione, per il 15% esperienze in altri settori, ad esempio viaggi, incontri, avventure di vita ed esperienze nei confronti delle quali i giovani italiani sono ancora indietro rispetto ai coetanei europei. E quel che rimane, al massimo un 25% può essere attribuito alle doti naturali”.[p. m.]
La ricetta delle menti super
“Le persone che si vantano del proprio Quoziente di Intelligenza sono dei perdenti”
Stephen Hawing, fisico
Genio
|
=
|
1
|
%
| Di ispirazione (e quindi di doti innate) |
+
| ||||
Istruzione
|
=
|
29
|
%
| Di studio |
+
| ||||
Fatica
|
=
|
70
|
%
| Di costante esercizio ed applicazione |
Gli ingredienti
- Buone qualità intellettuali, anche se non necessariamente straordinarie
- Buona istruzione
- Adulto che faccia da mentore: è la figura di riferimento che aiuta a sviluppare le doti latenti
- Ambiente familiare, social e scolastico che funzioni da costante supporto
- Enorme investimento di sforzi e di tempo per prepararsi nella disciplina in cui si vuole eccellere
- Tanta volontà
Il risultato
Si sfonda grazie alla “Regola dei 10 anni”
Ci vogliono almeno 10 anni di lavoro concentrato su un campo specifico prima di emergere: in media si deve investire una mole di tempo e sforzi pari a 5 volte quella di chi non è riuscito a primeggiare.
Articolo di Paola Mariano
Pubblicato su LA STAMPA Scienzatecnologia di mercoledì 25 ottobre del 2006.
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