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mercoledì 14 agosto 2013

GENI SI NASCE, NO SI DIVENTA

Genio si nasce? No, si diventa!

La "formula" della genialità è fatta da una scintilla, una buona conoscenza e tanto lavoro secondo uno studio della Cambridhe Univerity. Il talento è nulla senza applicazione.

Genio si nasce? No, si diventa!La "formula" della genialità è fatta da una scintilla, una buona conoscenza e tanto lavoro secondo uno studio della Cambridhe Univerity. Il talento senza applicazione, infatti, non conta nulla.
Secondo una recente pubblicazione dell'Università di
Cambridge, la genialità non è una dote innata.
Per diventare grandi scienziati, grandi musicisti
o insuperabili calciatori servono un minimo
di predisposizione, ottimi insegnanti, e la ferrea
 volontà di diventare i migliori.
Se siete tra coloro che ammirano sconsolati i capolavori dei grandi, siano essi scrittori, pittori, scienziati, o sportivi, pensando che competere con la loro eccellenza sia impossibile, non disperate: secondo una recente ricerca condotta in Inghilterra essere un genio non è solo questione di nascita e quindi di fortuna: la genialità può essere coltivata giorno dopo giorno, lavorando sodo e impegnandosi con dedizione.

Lavorare, lavorare, lavorare
I risultati di questo singolare studio sono riassunti in una pubblicazione dell’Università di Cambridge intitolata Cambridge Handbook of Expertise and Expert Performance (ossia il Manuale di Cambridge della Perizia e dell’Eccellenza) recentemente presentata dalla rivista New Scientist. Secondo i ricercatori dell’illustre ateneo, le capacità straordinarie degli individui comunemente ritenuti dei geni, non sono un dono innato, ma il frutto di una sapiente combinazione di doti personali, istruzione di altissimo livello, e ore di studio e applicazione.

Geni non per caso
Spiegare come si forma un genio non affare da poco: secondo Anders Ericsson, professore di psicologia presso la Florida State University e curatore del manuale, la genialità si sviluppa quando una persona intelligente debitamente istruita e supportata, concentra tutti i propri sforzi nel raggiungere abilità e competenze straordinarie in un determinato campo dello scibile umano.

L’intelligenza intelligente
E questi individui non devono necessariamente avere un quoziente intellettivo fuori dal comune, quanto degli ottimi insegnanti, un ambiente che li stimoli a migliorarsi continuamente, e soprattutto una voglia di impegnarsi, questa sì, davvero straordinaria.
Capacità di analisi e sintesi fuori dal comune
fanno la differenza tra ottimi calciatori e veri
fuoriclasse. I grandi campioni come
Andrea Pirlo riescono a calcolare tutte
le variabili in grado di influenzare un tiro,
e non lasciano scampo al portiere.
Un quoziente intellettivo altissimo, da solo, non è infatti sinonimo di genialità: i grandi musicisti o i campioni di scacchi hanno solitamente un q. i. molto elevato, spesso compreso tra 115 e 130. Si tratta di un valore di tutto rispetto, ma comune al 14% della popolazione. E non tutti sono classificabili come geni.
Sebbene quindi sia innegabile che alcune persone siano più predisposte o dotate di altre in alcune discipline, ciò che fa la differenza è l’impegno profuso nel raggiungimento di risultati straordinari. Stephen Hawking, uno dei più grandi fisici al mondo, esplicitò le proprie capacità solo attorno ai 25 anni, quando iniziò a occuparsi in modo quasi ossessivo di buchi neri, assieme al fisico Penrose.

Cervelli in palestra
Applicazione e studio continui costituiscono infatti per il cervello un vero e proprio allenamento: Eric Kandel della Columbia University, in una sua ricerca del 2000 che gli è valsa il Nobel, ha evidenziato come la ripetizione continua di una medesima lezione incrementi il numero e la robustezza delle connessioni nervose associate alla memoria. Uno studio ininterrotto e mirato serve quindi a costruire una vera e propria rete neurale della conoscenza.

Dieci anni per eccellere
L’osservazione delle performance di coloro che sono ritenuti dei geni, ha consentito agli studiosi di introdurre una sorta di “regola del dieci”. Lo psicologo Benjamin Bloom della University of Chicago e i suoi colleghi hanno analizzato le performance di un campione di 120 personalità eccellenti tra cui scienziati, musicisti e sportivi, scoprendo che queste persone lavorano duramente per almeno dieci anni prima di essere riconosciuti come fuoriclasse nella propria disciplina. Mozart, ad esempio, sebbene a 7 anni scrivesse già sinfonie, non produsse nulla che lo rese famoso prima dell’adolescenza. E anche i più grandi i nuotatori olimpici si alleano in media quindici anni prima di poter gareggiare ai massimi livelli.

Schemi vincenti
Lo studio evidenzia come una delle differenze tra persona intelligente e genio risieda nelle altissime capacità di sintesi e schematizzazione di quest’ultimo: un campione di scacchi è in grado di memorizzare con impressionante precisione la posizione dei pezzi sulla scacchiera e analizzare in pochi istanti tutte le possibili mosse e contromosse. Allo stesso modo, Ronaldinho o David Beckham sono capaci di calcolare tutte le variabili in grado di influenzare la traiettoria di un tiro che risulterà imprendibile anche per il migliore dei difensori.

La formula della genialità Ma esiste una ricetta per diventare geni? Secondo il manuale di Cambridge sì, ed è data da un 1 per cento di ispirazione, un 29 per cento di ottima formazione e il 70 per cento duro di lavoro. E quindi, non resta che rimboccarsi le maniche, chinare la testa sui libri, e fare il proposito di diventare i migliori. Volere è potere!

(Notizia aggiornata al 19 settembre 2006) FOCUS.IT

I PIU' GRANDI GENI CREATIVI DELLA STORIA



http://genicreativi.blogspot.it/

martedì 13 agosto 2013

GENI SI NASCE?

 

Geni si nasce o si diventa?
Facciamo attenzione!

Da una delle ultime ricerche svolte sul tema negli Stati Uniti da due psicologi, David Z. Hambrick ed Elisabeth J. Meinz, è emerso che si nasce. Ma...ne siamo sicuri?
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Milano, 20 gennaio 2012 - Geni si nasce o si diventa? E' ufficiale: si nasce. O almeno questo è quanto emerso da una delle ultime ricerche svolte sul tema negli Stati Uniti da due psicologi, David Z. Hambrick ed Elisabeth J. Meinz i quali sono giunti a questa conclusione studiando un folto gruppo di superpianisti all'opera.
Certo, non sono i primi a sostenere questa tesi, altrimenti il dubbio di cui sopra non sarebbe diventato uno degli interrogativi amletici (e non solo di questa Era). E certo, nulla vieta a chiunque di continuare a pensarla come quegli altri, quelli che sostengono che il talento si può conquistare a forza di insistere, esercitarsi, provare e riprovare, che si parli di una disciplina di studi, di sport o musica. Tesi che piace molto, e come non potrebbe? soprattutto, ammettiamolo, a noi genitori (di oggi), che vorremmo vedere eccellere i nostri pargoli, saperli talentuosi in qualcosa. Ma spesso, non è in ciò che vorremmo noi?
Andrè Agassi divenne il numero uno del tennis pur odiandolo, costretto a duri allenamenti dal padre; però dovrebbe far pensare anche la storia di Ray Chen, la nuova star del violino l'altra sera al Conservatorio di Milano, che dice di aver imposto il suo talento ai genitori, i quali non gli diedero particolare importanza, anzi. Questo è un periodo dell'anno in cui si sceglie la scuola superiore e forse anche già cosa fare dopo la Maturità. Prestiamo attenzione. Il mondo è pieno di medici che avrebbero voluto fare i pianisti o ingegneri col sogno nel cassetto di aprire un ristorante. Geni si nasce o si diventa? 

SVILUPPARE INSIEME GLI EMISFERI DEL CERVELLO: ALBERT EINSTEIN E LEONARDO DA VINCI



 
 
Geni si nasce o si diventa? 04/05/2011
 
 
Leonardo da Vinci considerato il Genio per eccellenza è la persona che ha dimostrato di aver usato tutte le sue Intelligenze. Era quasi interamente autodidatta e rappresenta un validissimo esempio di ciò che si può ottenere con la determinazione a espandere e sviluppare tutte le intelligenze.

In sintesi, Leonardo, cercava di unire in maniera perfettamente equilibrata sia l'emisfero destro del cervello che quello sinistro.
L’emisfero destro è specializzato nella percezione di figure, strutture e contesti nella loro globalità. Usa un linguaggio fatto di immagini molto simile a quello dei sogni, fa uso di aforismi, aneddoti, metafore, prescrizioni comportamentali. E’ la sede della memoria e delle reazioni emotive, quindi ama, odia, ride, piange. Conosce l'arte del disegno, è specializzato nel pensiero analogico, nelle azioni spaziali e nel linguaggio musicale ed artistico.
L’emisfero sinistro invece controlla la parte destra del corpo, tratta le informazioni in ordine logico, analizza, valuta, critica.
Non possiede emozioni, per cui analizza le informazioni in modo razionale, si esprime mediante la scrittura, le parole e l’uso di un linguaggio logico matematico.


Nelle persone un emisfero è spesso dominante
sull'altro

Gli attuali metodi educativi privilegiano l'emisfero sinistro, in quanto l'insegnamento viene impartito per gradi, seguendo schemi logici prestabiliti, in cui le principali materie sono: matematica, lettura, scrittura, ecc. e lo sviluppo delle funzioni associate all'emisfero destro non sono facili da attuare, perché quando siamo svegli, tutte le situazioni sono controllate dall’emisfero sinistro; lo scambio verso quello destro avviene in modo automatico, se l’attività da compiere è sgradita all’emisfero sinistro o se occorre fronteggiare un evento improvviso. Ciò significa che l’emisfero sinistro tende a svolgere anche quelle attività che l’emisfero destro potrebbe fare meglio
Per questo molti di noi hanno trascurato la parte destra del cervello mentre si sono concentrati sulla crescita e lo sviluppo dell'intelletto. Abbiamo imparato a leggere, scrivere, fare i conti, ma abbiamo dimenticato come sognare ad occhi aperti o essere spontanei.

Ora però che cominciamo ad apprezzare la differenza tra emisfero destro e sinistro possiamo comprendere come sia importante svilupparli insieme

Albert Einstein aveva questa qualità. I suoi emisferi erano entrambi sviluppati.
L'ispirazione gli veniva dall'emisfero destro e l'abilità nel tradurre le idee in formule concrete gli veniva dall'emisfero sinistro.
Anche Leonardo da Vinci aveva questa facoltà dell'uso bilanciato della parte destra e sinistra. La sua sensibilità visiva gli veniva dalla parte destra ma la sua abilità nel tradurre le sue visioni in capolavori di perfette proporzioni e particolarmente le sue invenzioni pratiche venivano dalla parte sinistra.
Dunque, quando non utilizziamo entrambi gli emisferi stiamo al massimo usando solo una parte del nostro reale potenziale.
Ecco che sviluppare la propria creatività è importante. Significa acquisire maggiore elasticità mentale, saper uscire dagli schemi mentali del ragionamento logico, saper trovare soluzioni nuove ed originali ai problemi di ogni giorno, in poche parole dare spazio al genio che è dentro ognuno di noi.
Insomma, genio si diventa": o meglio si nasce "e" si diventa, poichè una certa dose di talento naturale è indubbiamente necessaria, ma in sé non basta, occorre coltivarla con un giusto mix tra logica e creatività. Soltanto a quel punto si manifesta il genio, inteso come raggiungimento di prestazioni eccezionali in qualunque campo.
Allora si che essere un genio è alla portata di tutti, perché tutti abbiamo una mente con infinite capacità.


A cura di
Silvia La Montagna
RDC


GENI SI NASCE O SI DIVENTA?


GENI SI NASCE O SI DIVENTA?
C’era una volta un grande mago che stava mostrando le sue strabilianti magie. Il pubblico acclamò il mago e il re disse :”Quest’uomo ha un dono, un talento donato da Dio”. Uno dei saggi consiglieri del re, però disse:” Mio signore, geni si diventa, non si nasce. L’abilità di questo mago è il risultato della disciplina e dell’allenamento. Si è guadagnato quel talento raffinandolo negli anni, con determinazione e disciplina“.
Il re, infastidito ribadì che “Geni si nasce, non lo si può diventare, e tu sicuramente non sei nato genio”, e fece rinchiudere il consigliere nella prigione più profonda insieme a due maialini.
Fin dal primo giorno di prigionia il consigliere prese ad allenarsi correndo su per le scale della cella tenendo un maialino sotto ogni braccio. Il tempo passava e i maialini crescevano…e giorno dopo giorno l’allenamento fece diventare il saggio consigliere sempre più forte.
Quando il re si ricordò del prigioniero, curioso di vedere come la prigionia l’avesse ridotto, lo fece chiamare. Quando il prigioniero si presentò con i due maiali sottobraccio, il re esclamò:”Quest’uomo ha un dono, un talento donato da Dio”. Il saggio consigliere rispose” Mio signore, geni si diventa, non si nasce. La mia forza è il risultato della disciplina e dell’allenamento. Mi sono guadagnato questo talento raffinandolo nel tempo con determinazione e disciplina“.
Liberamente tratta da The magic of Metaphor di Nick Owen

TRATTO DA THE TALENT CODE DI DANIEL COYLE

STUDIATO IL CERVELLO DI A.EINSTEIN: GENI SI NASCE O SI DIVENTA?

Studiato il cervello di A. Einstein: geni si nasce o si diventa?

Il cervello di Einstein è radicalmente diverso da uno comune, ma si tratta di predisposizione genetica o di una alterazione dovuta allo studio?

Quando nel 1955 Albert Einstein morì, aveva all’attivo un premio Nobel per la Fisica per alcuni suoi studi sull’effetto fotoelettrico, tuttavia tutti ricordano lo scienziato tedesco fuggito negli USA dalla Germania Nazista per la teoria della relatività e per aver contribuito allo sviluppo delle tecnologie capaci di imbrigliare l’energia nucleare.
Universalmente riconosciuto come genio assoluto della Fisica, si cimentò anche in politica, nella filosofia, nella musica, diventando già nella prima metà del 900 una celebrità, grazie anche al suo carattere tutt’altro che riservato.
Da sempre gli scienziati si chiedono come mai certe persone riescano a manifestare capacità così superiori alla norma.
La genetica ha dimostrato che sì la predisposizione genetica è importante, ma non in maniera assoluta, perché sono molti altri i fattori che influenzano lo sviluppo di un essere umano capaci di trasformare i muscoli come il cervello, ma non si era ancora capito come.

Foto Il cervello di A. Einstein

Non è un caso che alla morte di Einstein un gruppo di neuroscienziati persuase i famigliari del defunto genio a salvare il cervello dalla cremazione, quest’ultimo poi fu sezionato e fotografato in ogni sua parte.
Questo studio portato avanti da scienziati di tutto il mondo non portò a nulla di significativo, salvo produrre una enorme mole di documentazione scientifica.
A più riprese ripresero gli studi su uno dei cervelli più importanti del ventesimo secolo, ma solo a partire dal 2007, forti delle moderne scoperte in campo neurologico, un pool di scienziati civili e militari USA capeggiati da Dean Falk della Florida State University, ripresero in modo intensivo gli studi su questo e altri 85 cervelli umani.
Da questo studio è emerso che effettivamente il cervello di Einstein ha una conformazione fisica marcatamente differente, sembrerebbe che infatti la struttura complessiva del cervello sia molto più articolata (o contorta) del normale e in particolare quella del lobo parietale inferiore, area del cervello a cui si attribuiscono le capacità come l’orientamento spaziale, il pensiero matematico e il movimento, sembra estremamente complessa.
Arrivati a questo punto gli scienziati devono riuscire a capire se tali alterazioni della struttura del cervello sono dovute a una qualche forma di predisposizione o se in realtà, come sospettato da tempo, sono lo studio e l’esercizio a modificare il cervello non solo a livello di sinapsi ma anche a livello globale.
Come ci riusciranno?
Confrontando il cervello di Einstein, le sue foto in realtà, con quello di qualche altro fisico di fama, solo allora si avrà una risposta definitiva a questo dilemma.

Francesco Adessi, 19 novembre 2012

NON SI NASCE GENIO MA ESISTE IL MODO PER POTERLO DIVENTARE: Alberto Oliveiro

 

C’è una possibilità per tutti e non è necessario possedere un alto quoziente intellettivo. Contano molto l’ambiente, la forza di volontà e lo studio.

 
“Il genio senza formazione è come argento in miniera”: come dire che senza studiare il successo è irraggiungibile. Parola di Benjamin Franklin, che forse aveva ragione, visto che – secondo una nuova disciplina che unisce la psicologia alle scienze cognitive e trova il suo manifesto nel manuale “Cambridge Handbool of Expertise and Expert Performance” – c’è una possibilità per tutti di diventare geni. Ma bisogna rimboccarsi le maniche. La ricetta da applicare costa fatica.
Il genio e il talento, intesi come dono dalla nascita, sono sogni da dimenticare, sostengono gli autori del manuale edito dalla Cambridge University Press. Per diventare “geni” basta una discreta dose di abilità naturali, un’istruzione di alta qualità e una montagna di lavoro.
E’ complicato spiegare come genialità e abilità sopraffine si sviluppino e perché siano eventi così rari, dichiara lo psicologo della Florida State University Anders Ericsson, tra i curatori del testo, che raccoglie i più autorevoli studi sull’argomento. Non c’è nulla di magico e innato, spiega: i geni non hanno necessariamente un alto QI, il Quoziente Intellettivo, ma quasi sempre hanno alle spalle un ambiente che li ha supportati nell’età della formazione, adulti che hanno saputo guidarli nella crescita intellettuale e – sempre – la volontà di investire energie e tempo nel loro scopo.
Dello stesso parere è un altro testo, Brian Butterworth, dell’Istituto di Neuroscienze Cognitive e Psicologia alla University College di Lindra: per distinguerti in qualcosa “devi spendere 10 mila ore ad esercitarti, ma devi volerlo e avere la capacità di lavorare sodo”.
Pur diradando un po’ il mistero che aleggia dietro il mito del genio e smorzando l’esagerato entusiasmo di mamme che vedono nei normali progressi dei propri piccoli il segno del “genio”, queste considerazioni incoraggiano chiunque voglia riuscire in qualche cosa, ma sente di non essere dotato. E a dargli la forza ci sono le prove custodite nel manuale: studi compiuti su “super-dotati” di ogni campo, sottoposti a migliaia di test cognitivi e di memoria, misure e confronti di QI, scansioni cerebrali, studi retrospettivi per trovare nella giovinezza la chiave che ha permesso al loro genio di esplodere; i, viceversa, studi prospettici per vedere il futuro di giovani dalle promettenti capacità. Ebbene, nessuno di questi lavori ha dato risultati che avvaloravano il mito del genio.
Confrontando persone geniali e individui comuni – racconta Ericson – non è emersa nessuna correlazione tra i QI e grado di successo: essere “geni” non significa necessariamente avere QI elevato e, viceversa, un QI medio-basso non è una preclusione. In particolare il QI di personaggi eccellenti rientra di solito in un intervallo significativo, tra i 115 e 130: sebbene i geni siano una rarità, in quel range di QI si trova addirittura il 14% della popolazione generale. Quindi il QI non fa il genio, ma prova ne sia che quegli atenei americani, dove l’alto QI è uno dei parametri di ammissione per le matricole, non sfornano eserciti di scienziati o scrittori di successo.
Uno studio retrospettivo di Benjamin Bloom dell’Università di Chicago su grandi personaggi in diversi campi del sapere e dello sport dimostra che per tutti quelli che hanno primeggiato vale la “regola dei 10 anni”: sono necessari almeno 10 anni di pratica assidua prima di sfondare. Inoltre Bloom ha ripercorso le vite di questi individui, trovando che sul loro successo hanno avuto un peso dominante l’ambiente e le persone tra cui sono cresciuti: nel loro passato” cercavamo bambini eccezionali e invece ciò che abbiamo trovato di eccezionale erano le condizioni”, quelle in cui vivevano.
Bloom ha poi evidenziato che soltanto pochi tra i personaggi d’eccellenza da lui studiati avevano mostrato da piccoli quelle eccezionali qualità che li hanno contraddistinti da adulti, mentre quasi tutti erano stati incoraggiati al sapere sin da bambini. E infatti hanno goduto da giovani di una figura di riferimento che li ha guidati verso il successo, disponendoli allo studio e alla fatica. Fidiamoci, quindi, di Franklin, che un genio era di certo:” Chi ha pazienza può ottenere ciò che vuole”.
  
Le sorprese del cervello dei superdotati
Lo psicologo Alberto Oliveiro: nei test cognitivi si riduce l’attività della corteccia frontale tende a prevalere invece l’emisfero destro, quello che funziona per analogie e per associazioni
 
Un mix di istruzione e applicazione, da unire ad esperienze di vita come viaggi e contaminazioni da tutti gli ambienti del sapere e poi, soprattutto in campo artistico, doti naturali da coltivare da piccoli: è la ricetta per eccellere e a proporla è un esperto, Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia presso l’Università La Sapienza di Roma, che ha appena pubblicato un saggio sull’argomento, “Come nasce un’idea. Intelligenza, creatività, genio nell’era della distruzione”
Professore, perché genio si diventa?
“L’applicazione, lo sforzo e la pratica sono aspetti fondamentali da cui non si può prescindere. LA regola dei 10 anni ha un che di fondato e molti sono i casi che la confermano. Si pensi per esempio ai Beatles: prima di arrivare al successo il gruppo ha speso almeno sette anni in prove su prove. Bisogna studiare, come diceva Howard Gardner docente di psicologia e di neurologia all’Univer4sità di Harvard: una volta avuta l’idea, ci si deve lavorare sopra e svilupparla, ma …”.
Ma? Qual è il punto?
“Non dobbiamo minimizzare il fatto che molte persone, soprattutto in campo artistico, hanno doti innate che poi, adeguatamente coltivate, sfociano in un talento eccezionale”.
Queste doti corrispondono a quella differenza a livello neurale tra individui dotati e persone comuni?
“Sono numerosi gli studi in cui si è dimostrato che persone più creative, e giudicate di alta intelligenza, abbiano un’attività cerebrale differente, quando le loro capacità sono messe ala prova. Per esempio è emerso che i super-dotati durante prove cognitive di vario tipo hanno una ridotta attività a livello della corteccia frontale, che è un po’ il centro esecutivo del nostro cervello. L’ipotesi più accreditata è che, essendo meno attivo il centro esecutivo, nel cervello dei “geni” prevalgono invece le associazioni libere, come avviene normalmente in ciascuno di noi nello stato di dormiveglia, quando i pensieri fluiscono e c’è più spazio per le idee creative. Un’altra differenza tra “talenti” e “normali” è che nei primi sembra esservi una prevalenza dell’emisfero destro, quello che funziona per analogie, su quello sinistro, che invece è la base della logica”.
Si può individuare un’età critica entro la quale è più facile sviluppare un talento innato?
“Difficile parlare di un periodo finestra: certo è che in molti campi del sapere, ed anche in molti sport, tanti personaggi famosi hanno iniziato, spesso per seguire le orme dei genitori, già da piccolissimi e cimentandosi in ciò che li avrebbe resi famosi. E’ indubbio che una delle chiavi per riuscire in certe discipline, come la musica, è iniziare da piccoli”.
Quindi, professore, secondo lei qual è la ricetta per coltivare un genio?
“E’ importante che il bambino sin da piccolo faccia svariate esperienze in modo che possano emergere sue eventuali predisposizioni in qualche settore. Bisogna evitare quindi di forzare il piccolo in un’unica direzione, anche perché eccessive forzature da parte degli adulti, verso la musica piuttosto che verso lo sport, possono indurre nel bambino avversione verso quelle stesse discipline”.
Come si può sintetizzare la formula per la genialità?
“Pesano per almeno il 60% istruzione e applicazione, per il 15% esperienze in altri settori, ad esempio viaggi, incontri, avventure di vita ed esperienze nei confronti delle quali i giovani italiani sono ancora indietro rispetto ai coetanei europei. E quel che rimane, al massimo un 25% può essere attribuito alle doti naturali”.[p. m.]
 
La ricetta delle menti super
“Le persone che si vantano del proprio Quoziente di Intelligenza sono dei perdenti”
Stephen Hawing, fisico
 
Genio
=
1
%
Di ispirazione (e quindi di doti innate)
+
 
 
 
 
Istruzione
=
29
%
Di studio
+
 
 
 
 
Fatica
=
70
%
Di costante esercizio ed applicazione
 
Gli ingredienti
  • Buone qualità intellettuali, anche se non necessariamente straordinarie
  • Buona istruzione
  • Adulto che faccia da mentore: è la figura di riferimento che aiuta a sviluppare le doti latenti
  • Ambiente familiare, social e scolastico che funzioni da costante supporto
  • Enorme investimento di sforzi e di tempo per prepararsi nella disciplina in cui si vuole eccellere
  • Tanta volontà
 
Il risultato
Si sfonda grazie alla “Regola dei 10 anni”
Ci vogliono almeno 10 anni di lavoro concentrato su un campo specifico prima di emergere: in media si deve investire una mole di tempo e sforzi pari a 5 volte quella di chi non è riuscito a primeggiare.
 
Articolo di Paola Mariano
Pubblicato su LA STAMPA Scienzatecnologia di mercoledì 25 ottobre del 2006.

IL TALENTO è NULLA SENZA APPLICAZIONE

SCIENZA & TECNOLOGIA

Il segreto in una formula. La rivista inglese New Scientist pubblica le "dosi" stabilite dalla Cambridge University. Fondamentale la conoscenza prodotta da buoni studi

Ecco il genio: una scintilla, tanto lavoro
Il talento è nulla senza applicazione

<B>Ecco il genio: una scintilla, tanto lavoro<br>Il talento è nulla senza applicazione</B> Wolfgang Amadeus Mozart, un genio della musica
LONDRA - Genio si nasce o si diventa? Il quesito è vecchio e dibattuto quasi come quello sull'uovo e la gallina. Ma adesso arriva una risposta "scientifica", il primo studio analitico del problema, e il verdetto degli esperti è che genio si diventa: o meglio si nasce "e" si diventa, perché una certa dose di talento naturale è indubbiamente necessaria, ma in sé non basta, occorre coltivarla con uno studio di alta qualità e svilupparla con anni di duro lavoro. Soltanto a quel punto si manifesta il genio, inteso come raggiungimento di prestazioni eccezionali in qualunque campo, dalla scienza alle arti creative, dagli scacchi alle discipline sportive.

Ad affermarlo è un libro, "The Cambdrige Handbook of Expertise and Expert Performance" (Il manuale di Cambridge della perizia e della prestazione esperta), pubblicato in questi giorni dalla Cambridge University Press, di cui il settimanale britannico New Scientist riferisce con ampio risalto nel suo ultimo numero. La tesi è che le capacità che in alcuni casi definiamo talento o addirittura genio non sono il frutto di un dono della natura con cui veniamo al mondo, bensì il risultato di una combinazione di abilità innata, istruzione di alto livello e una montagna di lavoro.
In sostanza lo studio della Cambridge University, mescolando psicologia e scienza cognitiva, ci dice di lasciar perdere l'idea che il genio, il talento o altre qualità innate creino le grandi menti della scienza e delle arti creative, le grandi scoperte e le grandi opere del pensiero o dell'arte o le grandi prestazioni dello sport: è invece una miscela di talento innato, studio e applicazione a produrre prestazioni record. Un motto variamente attribuito a Ernest Hemingway (per il campo umanistico) o a Thomas Edison (per quello scientifico) sosteneva che il genio è 1 per cento inspiration (ispirazione creativa) e 99 per cento perspiration (traspirazione, sudore, fatica). Sulla base del libro di Cambridge, il New Scientist aggiorna così la "formula della genialità": 1 per cento di ispirazione, 29 per cento di buone scuole, 70 per cento di lavoro.

La ricerca suggerisce in proposito una sorta di "regola dei 10 anni": per quanto sia solido il talento innato, occorrono almeno dieci anni di pratica, di lavoro serio ed intenso, per raggiungere la grandezza. Un'analisi su 120 atleti, attori, artisti, matematici e scienziati, condotta dal celebre psicologo Benjamin Bloom della University of Chicago, rivela per esempio che ogni singola persona esaminata ha impiegato almeno un decennio di studio ed esercizio prima di ottenere riconoscimenti internazionali. In più, solitamente, ognuno che ce l'ha fatta ha avuto un mentore, una figura chiave che lo ha aiutato e incoraggiato lungo il percorso.

La Cambridge University cita casi famosi: Mozart suonava il violino a 3 anni e componeva sinfonie a 7, ma solo nella tarda adolescenza ha prodotto la musica che lo ha reso un gigante; Einstein era uno scolaro mediocre e svogliato, solo quando si è applicato rigorosamente al campo che lo appassionava, e per cui era dotato, è esploso; Tiger Woods ha imparato a usare la mazza da golf prima che a camminare, ma è stato l'inflessibile allenamento a farne il migliore di tutti (lo stesso si può dire di Pete Sampras o Michael Jordan).

Tra i fortunati individui che nascono con una dose di talento in qualcosa, insomma, sono la qualità dello studio e l'intensità della pratica a fare la differenza: per cui uno diventa un genio e un altro solo un buon esecutore. "Scusi, da qui come si arriva alla Carnegie Hall?", tempio della musica classica a New York, era una vecchia battuta dei conservatori americani. E l'ironica risposta era: "Con tanta pratica".        
La Repubblica.it (18 settembre 2006)

RAI 5: HORIZON - Genio si nasce o si diventa?